Il silenzio che parla greco: un’immersione nel romanzo di Han Kang

“L’ora di greco” è un romanzo della scrittrice coreana Han Kang, pubblicato nel 2011 e vincitore del premio Nobel per la letteratura nel 2024. Il romanzo racconta la storia di due personaggi con dolori diversi che si incrociano negli sguardi. Non conosciamo i nomi dei due protagonisti, ma sappiamo che sono una donna che veste sempre di nero, con spalle ricurve in avanti per non occupare troppo spazio, e di un docente di greco antico di poco meno di quarant’anni. Personaggi diversi, ma entrambi segnati da mancanze profonde: lui sta perdendo la vista e ha da poco saputo del decesso di un suo caro amico, lei ha perso l’affidamento del figlio e vive il lutto della mamma da sei mesi.

La donna era stata lei stessa un’insegnante, finchè《quella cosa》non era tornata. Le era già capitato da giovane: era stata una parola francese (bibliotheque) a restituirle l a parola. Questa volta, invece, è lei stessa che si adopera per riprenderla e spera di farlo attraverso le lezioni del professore (lo sfondo
di queste è il greco platonico, in particolare quello della Repubblica). La donna ha sempre avuto un legame particolare con il linguaggio, che è il vero protagonista del romanzo (anche per questo non conosciamo i nomi dei protagonisti): fin da bambina era stata 《intelligentissima》e da piccola aveva appreso autonomamente alcune nozioni della sua lingua madre (il coreano).

Il freddo silenzio della donna si incrocia con la vista ormai precaria del docente di greco. Tra i due si crea un’intimità tessuta da sguardi e filata da mani vive, ma con i fili di una lingua morta, che spesso fa sentire al sicuro (《era il suo sistema grammaticale complesso – e il fatto che fosse una lingua morta da secoli – a farmelo sentire come una stanza tranquilla e rassicurante》). Si tratta di un romanzo che stimola molto la riflessione sul tema del linguaggio, ma anche sulla lingua greca. Dimostra che spesso le parole morte hanno ancora molto da insegnare (παθεῖν μαθεῖν scrive il professore sulla lavagna, richiamando quasi il πάθει μάθος dell’Agmennone di Eschilo e affermando che《per Socrate “apprendere” significa letteralmente soffrire. O almeno … così lo intendeva il giovane Platone》). La scrittura è semplice e scorrevole, ma al contempo mai noiosa. L’autrice descrive con grande sensibilità situazioni e personaggi, al punto da segnare profondamente la mente del lettore, perchè riesce a spiegare un assurdo indimostrabile》.

Recensione di Alessia Vitobello, classe 4A, Liceo Classico, plesso Staffa, a.s. 2024/2025

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